Buona fortuna ad Alessandro Benetton, nuovo presidente dell’azienda di famiglia
Il Marchio Benetton è stato il protagonista indiscusso degli anni Novanta, dopodiché ha cominciato a sbiadire. Il figlio del fondatore sarà in grado di ridare colore al brand? Lo stretto legame di parentela non è stato certo motivo di favoritismo per Alessandro Benetton. All’età di 12 anni ha lavorato per il periodo estivo nella fabbrica di abbigliamento della famiglia a Ponzano, vicino a Treviso, nord Italia. Il suo compito consisteva nell’arrampicarsi ed entrare nell’enorme sistema di riscaldamento e pulirlo a fondo. Il ricorsa suscita una risata nel quarantottenne. “Come si chiama quel film inglese che piace tanto ai miei figli? Oliver Twist – ecco, era un po’ così.”. La sua condizione è migliorata da quell’estate nel locale della caldaia. Il mese scorso ha preso le redini di Benetton, l’azienda italiana di abbigliamento co-fondata dal padre 47 anni fa. Le aspettative sono alte, ma le sfide sono persino maggiori. Gli utili di esercizio sono scesi del 15% lo scorso anno, passando da 176 milioni di euro a 149. Il marchio è stato infatti superato dai più recente ed economici concorrenti, quali Zara, Primark e Uniqlo. E il brand, ancora fedele alle campagne shock che lo resero celebre negli anni Novanta, appare un po’ demodé. Ma Alessandro Benetton, il secondo genito di Luciano Benetton, è tranquillo. Davanti ad una tazza di tè al Lanesborough, nel quartiere londinese di Hyde Park Corner, non sembra affatto assomigliare agli altri uomini d’affari che passano per l’hotel. È abbronzato, in forma, e parla pacatamente di “Eataly”. Ma ciò che lo distingue dalla marea di abiti da uomini d’affari è il maglione rosso fuoco. Il nome di famiglia è riportato sull’etichetta e benché lui possa strapparla – è importante ricordare la rivista Ella una volta lo descrisse come un uomo “dall’aspetto di una bellezza quasi incredibile” – la maggior parte degli uomini non indosserebbe qualcosa di simile. Sarebbe semplicemente troppo Benetton. È questo ciò che deve risolvere. Deve far tornare di moda Benetton. Dopodiché deve farlo diventare di tendenza, e in secondo tempo – e solo allora – le vendite, che per anni si sono aggirate attorno ai 2 miliardi di euro, potranno risollevarsi. È una grande pretesa per una persona che non ha mai gestito un’attività retail e tantomeno una con 6.400 negozi sparsi in 120 paesi.
È lui l’uomo giusto per questo incarico? O si tratta semplicemente di un diritto di nascita? Alessandro Benetton contesta veemente questa seconda ipotesi e, a differenza doi molti successori di seconda generazione, ha accumulato dietro di sé una carriera credibile prima di entrare nell’azienda di famiglia. Per prima cosa, ha lavorato come analista presso Goldman Sachs a Londra da dove, due anni dopo, ha fatto i bagagli per prendere un Master in Business Administration ad Harvard. Li ebbe l’idea di fondare una società di Private Equity in Italia. Aveva 25 anni 2 anni di esperienza lavorativa. “Fu una grande scommessa. Questo settore non esisteva in Italia, pertanto non era molto comprensibile dal punto di vista degli investitori. Ma pensai di usufruire del vantaggio di muovermi in anticipo sugli altri” afferma. Fa parte di una delle dinastie più benestanti d’Italia ha aiutato. Oltre a Benetton, Edizione, la società capogruppo della famiglia, possiede partecipazioni nel settore autostradale, aeroportuale, bancario ed editoriale. Luciano, suo padre, vale oltre 2 miliardi di dollari secondo Forbes, per cui trovare finanziamenti non è mai stato un problema. A parte questo, la salita è stata dura. Circa il 90% del PIL italiano è basato sulle piccole imprese e quando Benetton fu avviata, l’unico accesso ai finanziamenti era costituito da prestiti bancari o dalle liquidità della famiglia. Avviò il suo fondo nel 1992 con 18 milioni di euro e investì in aziende di vario tipo, da un’impresa familiare che produceva integratori alimentari al secondo più grande produttore di vasche idromassaggio in Italia. Oggi, 21 Investimenti ha raggiunto 1,5 miliardi di euro e, tra i suoi investimenti, conta The Space Cinema, leader nel mercato italiano nel settore delle sale cinematografiche, e Meccano, l’azienda produttrice di giocattoli.
Fu così che la carriera di Benetton conobbe successo. Non era particolarmente interessato ad entrare a fare dell’azienda che suo padre aveva avviato nel 1965. A quel tempo Benetton senior notò quanto fossero apprezzati i pullover dai colori sgargianti indossati dalla sorella minore Giuliana, così investì in una macchina da maglieria ed iniziò a venderli porta a porta. Nel giro di pochi anni, vendeva pullover in 36 colori diversi. Attualmente, si contato centinaia di colori e più di 20.000 prodotti. Eppure il figlio non era interessato. “Ho sempre pensato che avrei seguito una mia propria strada. La mia gente mi domandava, quando stavo lanciando 21 Investimenti, “Perché non vai a lavorare nell’azienda di famiglia? Sei il primo della tua generazione con un CV di così alto livello” e io rispondevo d’istinto, “No, no. Voglio fare da solo”. Alessandro Benetton si confidava regolarmente con John Elkann, presidente di Fiat-Chrysler e ai vertici della famiglia Agnelli. Elkann racconta: “Ci siamo spesso confrontati sulle particolari sfide e opportunità che contraddistinguono le imprese familiari, e senza dubbio la sua visione e il suo coraggio saranno decisivi nel portare avanti la straordinaria storia imprenditoriale dei Benetton verso una nuova generazione”.
La famiglia riuscì a convincerlo senza fare pressione. Nel 2005, entrò a far parte del consiglio di amministrazione dell’azienda in qualità di vicepresidente non esecutivo per poi diventare vicepresidente esecutivo due anni dopo- Sostiene di aver preferito evitare di prendere il controllo senza aver prima compreso a fondo le questioni in atto e sviluppare una visione del futuro. Gli ultimi cinque anni li ha trascorsi a definirla. “Quando ho iniziato nel 2007, l’attività stava… arrancando non è la parola giusta, era come una bellissima donna che invecchia con qualche ruga.” Alcuni potrebbero chiedersi perché abbia aspettato tanto e non sia venuto ad appianare le rughe prima che fosse necessario un vero e proprio litfiting. Alcuni potrebbero domandarsi i se sia ormai troppo tardi. “Sono un imprenditore, quindi devo essere ottimista. Il mio istinto è osservare qualcosa, capirlo a fondo e sviluppare un progetto intorno ad esso”. Nell’ultimo anno, il consiglio si è preparato ad entrare in azione con nuovo vigore. Il gruppo è diventato privato dopo esser stato una società quotata alla Borsa di Milano per 26 anni, periodo in cui ha visto il suo valore di mercato diminuire da 4,2 miliardi di euro nel 2000 a 530 milioni nell’ultimo anno. Benetton si trova ora nella posizione per risollevare l’attività nel modo che ritiene più opportuno. Nel frattempo rimane fedele all’approccio aziendale in campo pubblicitario. Dal suo punto di vista, le pubblicità controverse che hanno elevato il marchio a cult negli anni Novanta sono ancora attuali. Una delle prime grandi mosse da quando ha acquisito un ruolo operativo è stata la campagna da 10 milioni di euro “Uhate” che immortalava fotografie ritoccate di personalità di alto livello nell’atto di baciarsi: Papa Benedetto XVI mentre bacia un imam egiziano, Barack Obama con il presidente Hu Jintao e Nicolas Sarkozy bocca a bocca con Angela Merkel. “La campagna mostra come serva del coraggio per non odiare gli altri”, dichiarò Alessandro Benetton quando comparvero i manifesti alla fine dello scorso anno. Lui continua a sostenere il progetto. “Tutti vennero a sapere della campagna nel giro di tre ore”, racconta: con il risultato che all’86% della “giovane generazione” è piaciuta.
Ma tutto ciò è servito a spingerli ad entrare nei negozi e comprare dei pullover? “Questa è una cosa diversa”, afferma. “Nel giro di tre anni hai un dialogo con 500 milioni di persone. Se credo che un giorno potrà tradursi in un elemento positivo per l’azienda? Certamente”. Alessandro Benetton ha davanti a sé un compito notevole, ma gli amici ritengono che il suo spirito estremamente competitivo combinato alla ricerca della perfezione gli permetteranno di riuscirci. Le aspettative di suo padre non sono da meno. “Alessandro non è nato povero” dice, “e le cose saranno ancora più complicate per lui. Ma anche qualcosa di speciale in sé: non è uno che si lascia sfuggire le occasioni e il suo istinto è cogliere le opportunità quando si presentano. Ha dimostrato – non da ultimo con la sua carriera professionale quando ha avviato 21 Investimenti – di non essere una persona che si arrende facilmente. I risultati parlano da soli. È un uomo che punta al successo in ogni cosa che fa ed è questo ciò conquisterà”. Nessuna pressione allora.
FONTE: The Sunday Times
AUTORE: Kate Walsh
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