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Swatch ritira lo spot in Cina, ma la crisi reputazionale resta

Swatch logo

Un’immagine capace di accendere un’ondata di indignazione ha trasformato una campagna pubblicitaria in un caso internazionale. Al centro della polemica c’è Swatch, storico marchio dell’orologeria svizzera, accusato in Cina di aver diffuso contenuti giudicati offensivi e culturalmente insensibili. Lo scatto contestato mostrava un modello occidentale che imitava gli occhi a mandorla, gesto percepito come richiamo diretto allo slanted eye, stereotipo razzista radicato nella memoria collettiva asiatica.

La diffusione dell’immagine sui social locali ha avuto un effetto esplosivo: su Weibo, la piattaforma più popolare del Paese, per ore si sono rincorsi hashtag di protesta e commenti infuocati. Molti utenti hanno invocato un boicottaggio dei prodotti, accusando l’azienda di mancare di rispetto ai clienti cinesi. Alcune voci sono state particolarmente dure: «Fanno soldi da noi e osano ancora discriminarci», ha scritto un utente. Un altro ha rincarato: «Saremo dei deboli se non boicotteremo Swatch fuori dalla Cina».

Di fronte alla reazione pubblica, il gruppo ha scelto la via del ritiro immediato dello spot e ha pubblicato un comunicato ufficiale: «Abbiamo preso atto delle recenti preoccupazioni riguardanti la rappresentazione di un modello. Ci scusiamo sinceramente per qualsiasi malinteso o disagio causato. Trattiamo la questione con la massima serietà e abbiamo rimosso tutto il materiale correlato a livello globale». Un intervento che, tuttavia, non ha convinto tutti: per molti consumatori, si è trattato più di una strategia difensiva che di un reale atto di consapevolezza.

La vicenda si inserisce in una sequenza di casi che negli ultimi anni hanno visto grandi brand occidentali scontrarsi con la sensibilità culturale del pubblico cinese. Dal celebre spot di Dolce & Gabbana nel 2018, alle campagne di H&M, Nike e Adidas legate alle denunce sulle condizioni di lavoro nello Xinjiang, fino alle polemiche che hanno toccato Uniqlo. Ogni volta, l’impatto sulla reputazione e sulle vendite ha dimostrato la forza del consumatore cinese nel dettare nuove regole di ingaggio.

Il tempismo non potrebbe essere peggiore per Swatch: il gruppo genera circa il 27% del suo fatturato complessivo tra Cina, Hong Kong e Macao, ma già affrontava un calo delle vendite dovuto al rallentamento economico della regione. In questo scenario, un boicottaggio anche parziale rischia di pesare ulteriormente su bilanci e prospettive, in un mercato chiave che rimane fondamentale per il lusso accessibile e per l’intero comparto dell’orologeria elvetica.

Quello che emerge con chiarezza è il messaggio inviato dai consumatori cinesi alle multinazionali: la sensibilità culturale non è più un optional, ma un requisito imprescindibile per preservare immagine e quote di mercato. Un errore di comunicazione, anche apparentemente marginale, può trasformarsi in un boomerang con conseguenze globali.

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